domingo, 26 de setembro de 2010

Hayabusa: Liberdade de perceber "Cheiros e nuances" da natureza....


Desfilando pela cidade... chama a atenção por onde passa. Causa sensação e desejo nos mais reprimidos! A lendária Hayabusa... Sempre ofusca os olhos com seu brilho!

sábado, 21 de agosto de 2010

Um simbolo di libertà



A Suzuki GSX-R 1300 tem o nome de batismo inspirado numa ave de rapina: o falcão hayabusa. Segundo os ornitólogos, esta é a ave mais veloz do mundo e sua refeição predileta são outras aves.

O sonho de uma vida



Sonhei com a Hayabusa por muito tempo.
O universo permitiu que isso se tornasse realidade. Obrigado.

quarta-feira, 28 de abril de 2010

I giovani si esprimono


"Bella France', ci becchiamo retard. Vedi di non darmi 'na sòla". "Tranquo, ci sarò". Versione in "giovanilese" di uno specime di conversazione tra due giovani romani, che in italiano colloquiale suonerebbe così: "Ciao, Francesco, ci vediamo più tardi. Cerca di non darmi una fregatura"; "Sta' tranquillo, ci sarò". Ecco dunque il giocoso ed espressivo linguaggio giovanile: anzi, ecco i linguaggi giovanili, vista l'estrema variabilità interna di un modo di adoperare, trasformare, in parte anche innovare la lingua italiana, che è proprio delle nuove generazioni, di quelli cioè che hanno grossomodo tra i 14 e i 25 anni di età; il linguaggio giovanile (LG, d'ora in poi), mobile insieme comunicativo e linguistico che, variando da regione a regione, da strato sociale a strato sociale, da periodo storico a periodo storico, pure mostra una serie di caratteri che lo individuano, da una quarantina d'anni a questa parte - dicono gli studiosi della lingua italiana -, come una varietà sostanzialmente diafasica della lingua nazionale, prodotta dai parlanti giovani in contrasto intenzionale con la lingua comune, in modo da garantire una visibile marcatezza linguistica. Varietà diafasica significa, in soldoni, varietà di registro, che si dispone all'altezza della massima informalità possibile lungo l'asse che è delimitato dai due estremi della massima formalità e della massima informalità.

Non è un gergo
I giovani parlano tra di loro, adoperando un certo lessico e certe locuzioni che escludono dalla comprensione immediata gli adulti. Siamo in presenza di un gergo? No, perché i gerghi tradizionali (che fossero di mestiere o esprimessero condizioni sociali o situazionali determinate) erano di diffusione circoscritta (il gergo di caserma) o volutamente criptici (il gergo della malavita, quello dei carcerati), mentre il moderno LG, pur esibendo tutt'intera la voglia di suonare differente rispetto allo standard, desidera la relazione con la lingua comune, prima di tutto perché i giovani, più che separarsi e isolarsi dalla società, intendono distinguersene e in qualche modo emergervi, in secondo luogo perché la lingua dei giovani presuppone come acquisita e padroneggiata la stessa lingua nazionale dell'uso medio acquisita e padroneggiata dalla gran massa degli italiani. Una lingua siffatta, parlata e scritta con sufficiente o buon grado di competenza attiva e passiva da una gran parte della popolazione, è realtà storica, ancora in progress, relativamente recente, rispetto all'italiano postunitario fino all'avvento della televisione, scritto bene da pochi e insidiato dal dialetto nel parlato, specialmente il parlato degli usi familiari e delle situazioni comunicative non formali.

Una strana relazione edipica
Il LG non si limita, come detto, a presupporre il grande bacino della lingua comune, ma altresì pungola quest'ultima e la provoca e vuole darci di cozzo dall'interno; caso mai, ambisce a distinguersi per vivacità, espressività e ironia. Come a dire: sei mia madre, una madre finalmente piuttosto sicura di sé, e io sono tuo figlio, ma ti dimostro che sono più intelligente, più aggressivo, più ambizioso, più vero di te, che già ti adagi nella stereotipia di convenzioni linguistiche ricalcate su usurate convenzioni sociali. Insomma, il moderno LG si può pensare soltanto in termini di ossimoro come controparte di un tutto nel quale la parte è integrata; e, ancora in termini di ossimoro, come una modalità comunicativa fluttuante e dinamica che, tanto più aspira a giocare a tutto campo per assumere diffusione interregionale, omogenea sul territorio nazionale, tanto più, necessariamente, tende a perdere in termini di espressività, facilitando, tra l'altro, il travaso di lessico e locuzioni, metaforizzati, nella lingua colloquiale comune (pensiamo, per esempio, a certo lessico preso dal linguaggio della droga – sballo, sballato, fuori di testa, coatto –, ormai moneta corrente anche nell'interscambio linguistico colloquiale tra parlanti adulti). Insomma, il LG più cresce e, di là dalle proprie intenzioni dichiarate di specificità, più torna alla madre: per dare, questa volta, invece che per ricevere.

Dal peer-group all'italiano colloquiale
La relazione proporzionalmente inversa tra "grado di espressività e diffusione dei singoli modi di dire" è stata ben messa in luce da Giuseppe Antonelli (A proposito della neodialettalità metropolitana: un'inchiseta pilota sul linguaggio giovanile romano, in Roma e il suo dialetto: Lingua, dialetto e società, a cura di M. Dardano, P. D'Achille, C. Giovanardi, A.G. Mocciaro, Bulzoni, Roma 1999). Il massimo di espressività e il minimo di diffusione si hanno nell'ambito dello scambio comunicativo tra membri di un solo peer-group. Tipico il caso di parole ed espressioni coniate dagli studenti della stessa classe o dello stesso istituto. Fare l'Homer 'non mantenere le promesse fatte ai propri figli', con riferimento ai genitori di sesso maschile, rimanda alla figura di Homer Simpson, personaggio dei fumetti e dei cartoni animati capostipite di una famiglia borghese statunitense (i Simpson, eponimi di una nota serie televisiva molto amata dai giovani) ritratta con ironia, talvolta con sarcasmo, in tutte le sue idiosincrasie e contraddizioni. La locuzione, molto espressiva, è usata dagli studenti della terza F della scuola media inferiore Alessandro Severo di Roma e, a quanto mi risulta, è ignota altrove e dunque altrove, tra coetanei, sarà di non facile decrittazione, anche se la comune esperienza di teleutenti e appassionati del cartone permetterebbe forse qualche azzardo inferenziale. Spostandoci dal microletto del peer-group all'estremo delle parole o delle espressioni che hanno diffusione panitaliana, ci si rende conto che queste, proprio in virtù della loro diffusione, hanno diluito largamente la propria consistenza semantica ed espressiva originaria: nate nell'ambito del LG, hanno perso la loro identità generazionale e si sono amalgamate nel linguaggio colloquiale e familiare, diventando un patrimonio dei parlanti di ogni età. Il percorso diacronico compiuto fa sentire ai più giovani queste voci come reperti archeolinguistici: Antonelli cita termini come gasato 'vanitoso, euforico, esaltato', imbranato, pomiciare, sballo.

Consumo e consumismo linguistico
Per concludere, andrà notato come il LG non soltanto sia caratterizzato dalla rapidissima usura e dall'altrettanto rapido ricambio del proprio bagaglio lessicale, ma venga anche percepito soggettivamente dai giovani stessi come flusso continuo, produttore di strumenti comunicativi ed espressivi realizzati just in time e destinati a funzionare per il breve lasso di tempo in cui la fosforica euforia verbale di una leva anagrafica ha la ventura di esprimersi attraversando gli anni della gioventù. Per chi viene dopo, la maggioranza di quelle parole non cade nel completo oblio, ma è sentita come completamente obsoleta. Per la minor parte di quelle parole, c'è la cooptazione da parte della "madre". Ma, in questo caso, la parola torna, se non agli adulti, certamente tra gli adulti.

La parola ai giovani


Passeremo in rassegna le principali componenti che stanno alla base del LG, fornendo alcuni esempi, tratti in larga misura dagli studi dedicati al fenomeno. Inoltre, analizzeremoil testo di un brano musicale rap di un gruppo italiano che gode di una notevole fama tra i giovani, gli Articolo 31. Il rap ha portato, da più di dieci anni a questa parte, una ventata di novità nel LG, con un forte contributo di forestierismi e pseudoforestierismi (angloamericani soprattutto), e proponendosi più in generale come efficace esempio di ipercolloquialità, riflesso ma anche rielaborazione stilizzata del parlato giovanile più recente.

L'italiano colloquiale - "Alla base del linguaggio dei giovani sta l'italiano colloquiale", afferma Michele A. Cortelazzo. Per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, il LG partecipa, insieme ad altri processi linguistici in atto, a una dinamica propria dell'italiano contemporaneo nel suo complesso, che sembra muoversi nella direzione di costituire nuove varietà utili ad una comunicazione indirizzata verso un nuovo tipo di italiano informale. In questo senso, il LG è spia e, per la sua parte, motore di un movimento più ampio. In secondo luogo, il LG si radica nell'italiano colloquiale per motivi sociolinguistici, in quanto le interazioni linguistiche tra i giovani, specialmente nella fase della scolarizzazione, si situano giocoforza a livello di parlato informale - e delle forme scritte derivate (diari, zaini, sms, e-mail o chat). Attraverso l'italiano colloquiale filtrano nel LG elementi regionali e provenienti da lessici speciali. Nel LG questi ed altri elementi tendono a fare massa e quantità, in virtù di un processo di stereotipizzazione, caratterizzando il LG come specifico modo comunicativo marcato generazionalmente. Un esempio. All'italiano colloquiale non è certamente ignoto il suffisso di origine centromeridionale -aro, che soprattutto il romanesco del neorealismo cinematografico ha promosso nella conoscenza e nell'uso fuori di Roma (si pensi a cinematografaro, palazzinaro, marchettaro). Ma, con altrettanta certezza, si può dire che tale suffisso caratterizza in particolar modo il LG, il quale lo ha assunto e moltiplicato nelle realizzazioni lessicali, favorendo l'interscambio tra diverse realtà regionali: paninaro (nato non a caso fuori Roma, nella Milano degli anni Ottanta del XX secolo), fricchettaro, casinaro, metallaro, caccaro 'sciocco', camuffaro 'persona inquietante', cozzaro 'zoticone', paccaro 'ingannatore'. Molto diffuso anche il suffisso -oso (incazzoso, sballoso 'da sballo, eccezionale, fantastico', merdoso, drogoloso 'drogato', cessoso, acidoso 'sconvolgente, travolgente', slurposo 'eccitante') e il prefisso iperbolizzante mega- (megagalattico, megafesta, [sono] megacazzi, variante di [sono] cazzi acidi o amari). Spesso è difficile stabilire se certi termini siano propri del LG e da questo siano poi ripullulati nell'italiano colloquiale o viceversa. Si tratta di voci di ampia diffusione e, proprio per questo, meno atte ormai a marcare una specifica identità giovanile: allupato, beccare 'conquistare, cuccare', bestiale, cagare, cagata, casino 'confusione' ma anche come indicatore generico di 'grande quantità', cioccare 'litigare, inveire', cuccare, fottuto, giusto, goduria, sciroppare.

Il dialetto - Lorenzo Còveri afferma che nei vari LG italiani "la componente dialettale è importante". Usato in chiave scherzosa e con funzione fortemente espressiva, il prelievo dal dialetto è segno di forte identità locale, anche se è da rilevare l'ormai massiccia presenza di forme dialettali provenienti da aree diverse, in particolare centromeridionali, assunte e inglobate nei LG delle grandi aree metropolitane del Nord Italia, a testimonianza dei rimescolamenti demografici provocati dai flussi migratori all'interno della penisola. In sovrappiù, funziona da catalizzatore di questo fenomeno il mezzo televisivo, attraverso la diffusione di termini e di modi di dire locali, che ricevono una spinta dalle battute e dalle gag dei comici. Un esempio di questa circolazione sovrarregionale è data da voci come appicciare 'accendere (sigaretta o spinello)', babbione, bambascione, bono/bona, cunno 'persona molto stupida', gnocco/gnocca, minchia!, lampascione 'idiota, stupido', nerchia 'pene', pischello/pischella, pucchiacchia 'vulva', racchia, spacchiuso 'sbruffone', tosto, uallera 'pene'. Le aree semantiche interessate dall'apporto dialettale sono quella dell'insulto (besugo 'tonto', locco 'stupido', baluba 'imbranato; rozzo', bigolo 'pene', scrauso 'brutto; scadente'), del corteggiamento e del sesso (pucciare 'possedere sessualmente', sorca e brögna 'vulva', manego 'fidanzato', paffia 'ragazza carina') e della scuola. A proposito di quest'ultima, si pensi alla prolifica serie di locuzioni, molte delle quali marcate diatopicamente, per indicare il concetto di 'saltare una giornata di scuola', che si sono accumulate sin dalla fine del XIX secolo: si parte dal bigiare ottocentesco, passando per la sfilza di locuzioni elencate nell'edizione del 1905 del Dizionario moderno di Alfredo Panzini (bruciare, bucare, fare campagnola, far feria, fare filone, fare forca, fare fugarola, fare salato, fare salatino, fé schissa, fare sega, segare, fare sicilia, fare vela), per finire con le 447 locuzioni registrate nel recente repertorio allestito da Andrea Valente (www.lapecoranera.it).

Il giovanilese "storico" - Anche se il LG è caratterizzato da un continuo ricambio lessicale, esistono numerosi termini che perdurano nel tempo, facendo ipotizzare una certa continuità cronologica di una parte almeno del bagaglio terminologico e fraseologico giovanile. Tale continuità sembra confermata dagli slittamenti semantici che nel tempo subiscono parole e locuzioni, facendo assumere a ciascuna di esse le caratteristiche di un classico, stratificato lemma da dizionario storico della lingua, con il suo bravo albero di accezioni concatenantisi per passaggi da usi propri a usi estensivi, attraverso differenziazioni metaforiche, iperboliche o metonimiche. Lungo il possibile elenco. Ci limitiamo a: beccare, benza, bestiale, buzzurro, cagare, cesso 'brutto, detto di persona', cuccare, duro, figo, figata, frocio, gaggio 'tipo in gamba', ganzo, gasato, imbranato, leccare 'arruffianarsi qualcuno', lumare 'osservare con desiderio o interesse', menare, menata, pacca 'botta, colpo; effetto della droga', pacco 'fregatura', pezzo 'sgridata, scenata', pisquano 'ragazzetto sciocco', pompare 'possedere una donna', rugare, secchione, sgamare, sputtanare, stangare 'bocciare'. Come esempio della persistenza di questi termini nel LG, con slittamenti semantici, Michele A. Cortelazzo cita gasato, "che ha esteso il proprio significato da 'colui che si dà delle arie' a 'sotto effetto della droga'". Entrano a far parte di questo settore storico del LG anche i prelievi dai gerghi tradizionali della mala (dritta, pula, pinguino 'carabiniere in alta uniforme'), della caserma (banfare, battere la stecca, cazziare, scoppiare, tempo zero!), della scuola e, naturalmente, in tempi più recenti, della droga, spesso sottoposti nel tempo a procedimenti di estensione e spostamento di significato (anfetaminico 'sconvolto per l'assunzione di amfetamine', 'agitato, alterato psichicamente', 'eccitante, coinvolgente'; acido 'LSD'; flash 'forte sensazione istantanea di piacere, in seguito all'assunzione di stupefacenti', 'emozione violenta, ricordo intenso, immagine mentale molto vivida', 'attimo, istante', 'pensiero strano, senza fondamento'; flashare/flesciare; sballo 'euforia o stordimento da assunzione di droga' e 'esperienza, situazione o persona molto piacevole'; sballare 'diventare euforico o perdere il controllo dopo assunzione di droga'; stare a rota 'essere in crisi d'astinenza'; trip).

I gerghi innovanti - Vengono così definite quelle manifestazioni del LG proprie di piccoli gruppi coesi (classe scolastica, gruppo di individui accomunati da un'attività socializzante aggregativa - scout, associazione sportiva o hobbystica), caratterizzate da un alto tasso di fedeltà identitaria ma, di converso, da limitata diffusione nello spazio e, di norma, nel tempo, legate come sono al limitato ambito esperienziale in cui si muovono i gruppi che le esprimono. Difficile, per gli studiosi, reperire materiale di prima mano, anche perché, finora, pochi studiosi hanno dato vita a indagini sul campo in questo ambito. Michele A. Cortelazzo segnala come, in due casi - "gergo" dei drogati e lingua dei paninari -, "drammatica diffusione del fenomeno in un caso, divulgazione del "gergo" da parte dei mass media nell'altro", i gerghi innovanti abbiano superato la barriera del locale/temporalmente circoscritto, rilasciando parte del proprio materiale lessicale e fraseologico al LG di lunga durata e, tramite questo, attraverso i citati fenomeni di ampliamento e slittamento semantico, all'italiano colloquiale tout court.

Dalle lingue straniere - Se i prelievi dialettali legano il LG alla tradizione locale e funzionano come mastice identitario, quelli dalle lingue straniere (inglese e spagnolo; in misura assai minore il latino scolastico) segnano la volontà di affermare il cosmopolitismo, l'apertura all'innovazione, il desiderio di sprovincializzazione, anche rispetto ai LG periferici e non metropolitani ("rurali", dice Radtke). Sempre forte è la pressione sulla lingua speciale (informatica e web, musica) o sul gergo (droga) dai quali vengono prelevati i forestierismi: sia per via di adattamento fonomorfologico (chattare, resettare, rappare, flashare/flesciare, strippare 'perdere il controllo' ed 'eccitarsi' o 'avere paura', funkettone 'musicista funk'), sia per via di spostamenti semantici ( sconnesso da 'non collegato in rete' a 'confuso, rimbambito, detto di persona'; flashare / flesciare da 'sconvolgersi per l'effetto di droghe' a 'turbare' o 'evocare un'immagine mentale'; trip da 'esperienza allucinatoria sotto effetto di stupefacenti' e 'dose di acido' a 'esperienza molto piacevole o molto negativa', 'mania, ossessione' - e perfino 'cotta, infatuazione', secondo Bencini e Manetti, che citano un'analisi di Raffaele Simone). Il tutto a testimonianza di una vivace spinta ludica soggiacente. Non mancano i prelievi non adattati o quasi (trip, down 'depressione susseguente alla fase euforica da assunzione di droga', diler (angloamer. dealer) e pusher 'spacciatore', brown 'tipo di eroina'), abbondano i calchi, spesso deformati ricorrendo ai tradizionali strumenti derivativi (affissi, denominali, deverbali): sniffo 'sniffata', tiro 'sniffata di coca' e 'coinvolgimento sentimentale', pippotto 'sniffata di coca o eroina', pista 'striscia di coca', fattura 'l'essere sotto efetto di droga', sballo e sballare / -rsi, 'eccitarsi, esaltarsi' e, per iperbole, 'impazzire, andare fuori di testa'. Naturalmente, entrano come moneta corrente nel LG gli anglicismi che denotano stili musicali e culturali: acid (rock), dance (music), heavy (metal), punk, dark, house (music e dance), garage (music), rave (music e party). Molto interessante è il gergo del rap, ambito linguistico tra i più innovativi degli ultimi anni, presente nei testi di gruppi musicali costituiti di giovani che ai giovani si rivolgono. Tali testi offrono un vasto campionario di prelievi dal lessico angloamericano d'origine, con possibili successivi adattamenti formali e slittamenti semantici (vedi Una canzone rap): b-boy 'seguace dell'hip hop', biccia cioè bitch 'puttana', brother e brotha' (accanto a fratello), sister e sista (accanto a sorella), family, freesta (cioè freestyle), homie 'amico intimo, compagno', motha', rappa 'musica rap'. Giusta la sua diffusione anche negli slums popolati dagli ispano-americani, oltre che nelle comunità nero-afroamericane tra le quali è nato, il rap veicola anche termini ispanici, come barrio 'quartiere povero', gana 'voglia', porro 'spinello', puta 'puttana', tio 'zio', vida. Forte è la propensione ludica a sostituire termini italiani con corrispettivi forestieri: boy e non ragazzo, city e non città, parents (e, specialmente in ambito scolastico, gens, parentes, sapiens) e non genitori, teachers e non insegnanti, school (ma anche shit 'merda') e non scuola, money o dineros e non denaro, soldi. Propensione all'inventiva scherzosa che cresce con la creazione di pseudoforestierismi, spesso ricavati affiggendo suffissi stranieri a forme italiane, magari resi graficamente in base a una volutamente approssimativa trascrizione della pronuncia originaria (arrapescion, modulescion, colescion, inculescion) o, nel caso di cognomi, con una anglicizzazione che giunge fino al calco (Ghembàin per Gambino, Màignich per Mignieco, From Good per Dalla Bona), oppure aggiungendo la marca morfologica inglese del plurale ai sostantivi (profs, arterios 'genitori', effusions, scheos 'soldi' - con ripresa, in questo caso, del termine dialettale veneto schei, sghei ), marca ricavata anche dalle lingue iberiche e talvolta rinforzata dall'articolo determinativo (cagones, los trucidos). Lo spagnolo autorizza la coniazione di pseudoispanismi, grazie ai prolifici suffissi - (a) dor (cucador, trombador) e - (t) ero (drugatero 'drogato', mutandero 'poveraccio').

La storia delle parole a...parole.....


È stato Jorge Luis Borges – piace sempre ricordarlo – a elencare “chi trova con piacere un’etimologia” tra coloro che, senza saperlo, “stanno salvando il mondo”.
L’etimologia (parola antica: già usata nel Duecento da Guidotto da Bologna) è propriamente lo studio dell’origine delle parole, si sa. Ed è la corsa a ritroso del presente linguistico fino al passato di passaggio: il momento in cui, da una lingua, una parola è passata in un’altra, modificandosi attraverso i suoni di chi l’ha accolta; oppure cambiando la sua natura attratta dall’opposto di un contrario. O ammorbidendo le proprie asprezze nel deflusso innocuo e rasserenante di una generalizzazione. Chi si offenderebbe più, ormai, sentendo definire testa la propria testa, anche se in origine c’era una differenza sostanziale tra “caput” e ‘un vaso di coccio’. E anche se – vista la “tragedia d’uso” che ne è stata fatta – non è proprio la parola più elegante del mondo, chi coglie più in fregare il riferimento osceno di partenza che divertiva gli spettatori del Cinquecento?
Se è vero che la lingua c’è e si muove, l’etimologia è uno studio ricostruttivo di coreografie: un modo per ricreare la danza antica delle parole dai primi passi mirati fino alle evoluzioni immediatamente individuabili dei nostri giorni. Magari commuovendoci, per quell’antico “muoversi di qua e di là” del francone *dintjan da cui – è proprio il caso di dirlo – le danze sono cominciate.
Se è vero che ogni parola ha una sua storia fatta di storie intrecciate, quello che vi viene chiesto, adesso, è di contribuire a raccontarle bene: scegliendo le affermazioni vere tra le altre. Senza fidarsi dei falsi amici che spiegano; e con il giusto rispetto – se possibile – per il lungo viaggio migrante che le parole hanno affrontato, nello spazio e nel tempo, da una lingua all’altra, da un popolo all’altro. Spesso rifiutate, in partenza. Fino a diventare però – fortunatamente – ‘ricchezza e premio’ della lingua d’arrivo.

1. Staffa

A. «Il bicchiere della “staff”, no? Quando ci si riunisce con un gruppo di persone e si conclude la riunione con una bevuta, per ratificare un patto…».

B. «L’espressione ‘perdere le staffe’ viene dalla particolarità di alcuni pantaloni da uomo… perché, anticamente, erano allacciati con un tipo speciale di bretelle, le staffe, appunto… Che, una volta perse… Insomma: l’espressione vuol dire ‘trovarsi in balìa di tutto’… ‘essere indifesi’, capito?».

C. «Ma come fai a non capire?... Te l’ho già detto che tieni il piede in due staffe… O sei dalla mia parte, o sei dalla sua… … No, no. Se proprio vuoi saperla tutta, è la peggior forma di ipocrisia che io abbia mai visto…».

2. Geloso

A. «Gelosìa è una parola chiara: viene da gelo. Proprio per il ghiaccio che afferra le vene di chi è geloso, una sorta di paura ‘fredda’ che lo getta nel panico. Pensa: la ‘freddatura’ dell’amore… Pensa quanto è strano: chi è geloso si vanta di esserlo per passione: e invece è solo una persona fredda…».

B. «Le gelosìe, le persiane a grata, in sostanza… Sono state ideate in Medio Oriente. E nell’antichità venivano costruite con listelle di gelso… Da qui, arrivando in Europa intorno alla fine del X secolo, sono diventate *gelsarie poi *gesolìe e infine gelosìe… Ma la ‘gelosia’ non c’entra niente…».

C. «Geloso è chi esagera, sai. Chi è ‘più realista del re’, come si dice… … Tu, per esempio. Sei geloso perché non ti fidi di lei e… e comportandoti così eccedi. E non m’importa che tu ti nasconda dietro la scusa dell’eccesso d’amore… Esageri, fidati di me…».

3. Ciao

A. «Ai mondiali di Italia ’90 il nome della mascotte, “Ciao”, è stato scelto per due motivi. Perché ciao ormai è una parola internazionale conosciuta in tutto il mondo. E poi perché ciao viene da *chiao e *chiaio, forme medievali per clāru(m)… L’augurio di una giornata ‘luminosa’, anticamente… E anche di ‘chiarezza’ della manifestazione, volendo».

B. «Sei stato a Catania?... Quando?... E lo so, lo so. No… No. Non ironizzare tanto… sì, è così, ‘servo vostro’ è in pratica il corrispettivo di ‘ciao’, sai… Solo che oggi non ci facciamo più caso…».

C. «Nel medioevo, salutandosi, c’era l’usanza di accomiatarsi augurando l’aciāriu(m), il vero e proprio ‘acciaio’ (della lama). Una sorta di augurio apotropaico: come il moderno “in bocca al lupo”: ci si augurava – esorcizzando il pensiero – di venir trapassati da una spada o da un pugnale… Ma solo per scongiurare ritualmente un pericolo possibile. Da *acciàro si è avuto *acciào e poi ciào».

4. Precario

A. «Precario è come gregario: è attraverso il suffisso che si concretizzano i termini. Quindi da precausitas (‘inutilità, inefficacia, ecc.’) e crecausitas (‘limitatezza, mediocrità, ecc.’) abbiamo i derivati precarius ‘inutile’ e *crecarius/gregarius ‘limitato’, solo aggiungendo –arius».

B. «Precario – e di conseguenza precariato e tutte le parole simili – vengono dal latino praeclarus ‘molto famoso’ o anche ‘illustre per le sue doti, per la sua fama’ e simili. La curiosità viene dal fatto che la moderna precarietà nel senso di ‘incertezza’ nasce da uno slittamento di significato. Attraverso l’idea della vanitas vanitatum, della sostanziale fugacità delle glorie terrene, la vetta della fama è stata quasi da subito identificata con la ‘provvisorietà’ e l’‘instabilità’. I rovesci della fortuna, insomma, incarnati nel significato moderno».

C. «Precario è correlato con prece ‘preghiera’: e viene dal latino precārium ‘ottenuto attraverso le preghiere’, o, meglio: concesso ‘per grazia’. Da qui l’idea di temporaneità data dalla componente – si creda o non si creda – aleatoria e ingestibile delle preghiere».

5. Busillis

A. «Busillis viene dall’inglese tardo-ottocentesco Bus-to-Hills, ‘il bus (l’autobus) per le colline’; uno dei primi esperimenti di trenini elettrici per pendolari fatto nel Devonshire. Una volta penetrato in Italia con il ‘mezzo’, il termine (per poca conoscenza dell’inglese) si è trasformato in busillis. Ed ha assunto metaforicamente il significato di ‘questione che va per le lunghe’, che ‘procede con lentezza’».

B. «Busillis vale ‘difficoltà’ proprio perché ricorda – nella sua storia etimologica – l’errore di un oscuro traduttore dal Vangelo che, di fronte alla scrittura continua di indiebusillis (in diebus illis, ‘in quei giorni’), lesse Indie Busillis. Traducendo Indie ‘Le Indie’ e arrestandosi poi, perplesso, in cerca della corretta versione della sconosciuta parola busillis».

C. «Dal nome (latino) della città di Busille, ora distrutta, in Marocco: che, a causa delle correnti marine fortissime di poco al largo del suo porto, era di difficile attracco per tutte le navi romane in rotta verso il già terrorizzante scenario delle “Colonne d’Ercole”. Busille come Trebisonda; una difficile da raggiungere, l’altra: punto di riferimento».

6. Pizza

A. «Ma pensa tu! La pizza viene dalla Germania!... Sì, cioè… Non proprio l’alimento, ma l’origine antichissima della parola è germanica… da bĭzzo o pĭzzo… che: pensa le parole!… Dal significato di ‘morso’ è passato a ‘boccone’, poi ‘pezzo’, ‘pezzo di pane’, ‘focaccia’… Tutto mi sarei aspettato, ma che la parola italiana più diffusa nel mondo fosse d’origine tedesca… be’, questo proprio no…».

B. «Dal cinese pi-thy-za, letteralmente ‘ruota bianca’, si è poi avuto *pitìzza e pizza più o meno intorno al XIII secolo. Con Marco Polo sono arrivati in Italia gli spaghetti (piatto cinese) e la *pitizza (una focaccia cinese fatta con acqua e farina)».

C. «La pizza era originariamente una cialda croccante preparata come dono votivo ad Apollo Pizio (dal greco antico pytthia, ‘focaccia di Apollo’). Dalla Grecia attraverso la Magna Grecia (prima in Sicilia, poi nella zona del Salento e lungo la costa adriatica) la pizza si è diffusa perdendo le sue componenti sacrali».

7. Cattivo

A. «Per capire bene l’etimologia di cattivo nel senso di ‘contrario alla legge morale’, ‘malvagio’ ecc. bisogna ipotizzare un altro termine significativo che poi è andato perduto. C’è bisogno di un’antica specificazione. Non è così semplice, sennò…».

B. «Cattivo è il gatto, per eccellenza. Dal latino cǎttu(m)/gǎttu(m) e cǎtta(m)/ gǎtta(m), l’aggettivo tardolatino *cattivus da cui deriva l’italiano cattivo. Ne è una spia la sostanziale coincidenza tra l’immagine del Maligno e le sue fattezze di gatto nero…».

C. «Anticamente, il cattévo o cattèvo (da cui cattivo, già dal XIII secolo) era il timone delle navi a scafo piatto: in grado di permettere un’altissima velocità di gestione della manovra; esponendo però il timoniere ai molti errori dovuti alla poca stabilità dello strumento. “Fare il cattèvo/cattévo” voleva quindi dire ‘muoversi insidiosamente’, ‘oscillare pericolosamente senza controllo’».

8. Placebo

A. «Non è possibile. Altro che mass-media e summit… Lavabo e Placebo vengono dal francese e dall’inglese. Non è incredibile?... È per questo che sembrano anche nomi di gruppi rock…».

B. «Placebo è la parola spagnola che indica ‘il farmaco’, in generale; e in castigliano viene pronunziata pla-sì-vo. Passando dallo spagnolo all’italiano – assumendo tra l’altro un valore semantico più “attenuato” e ascrivibile all’àmbito dell’omeopatia – la pronuncia s’è fatta letterale, perdendo i connotati fonetici originali».

C. «La parola placebo viene dal nome del medico inglese Jonathan D. Placebow, il primo a studiare le componenti medicamentose dell’acido acetilsalicilico e a “commercializzarlo” con il nome – ormai universale – di aspirina».

9. Busta

A. «La prima attestazione di busta è in Sant’Agostino: “poenam bustam habitam” (lett., nel latino nordafricano di partenza, ‘avuta una punizione composita’). Qui busta(m), forma gergale aferetica di (ro)busta(m) vale ‘ripiegata’ e ‘multiforme’. Per un curioso – ma comune – slittamento oppositivo da ‘robusta’ a ‘malleabile’ (quindi ‘ripiegabile’, ‘multiforme’, ecc.) che s’è poi attestato dal Medioevo in poi come unico valore semantico».

B. «La parola busta è la forma ridotta del latino medievale (ar)busta: ‘ramoscelli’. Attraverso un processo metonimico lungo (a partire, più o meno, dal VI-VII secolo), si è passati dalla ‘causa’ (la legna) all’‘effetto’ (la carta prodotta) per identificare l’oggetto “che ne risulta”».

C. «Guarda che la buatta napoletana ha la stessa origine di busta. Una contiene i pomodori l’altra le lettere, ma sempre contenitori sono. … Te lo giuro… Ma sì… Guarda che la storia delle parole è democratica, sai…».

10. Zampogna

A. «La zampogna è lo strumento più antico. Da zampa (antico, probabile incrocio di gamba con cianca/zanca: ma l’etimologia è discussa), con l’aggiunta del suffisso –onīa(m): zampognìa ‘musica pedestre (suonata con i piedi)’. Dal tipo di musica allo strumento il “passo” è stato breve».

B. «Anticamente la zampogna era la sampaghnìa dei Greci (‘strumento di legno’, propriamente: ‘di pino marittimo’). Dal greco, per tramite siciliano, il latino medievale *sampenīa(m) e *samponīa(m). Fino alla prima attestazione del giullare aretino Baccio dei Castigli (1194 ca): “et era tucto sille(n)te ne (l)la via / sin ch’eo sonai pro meo / la zàmponnìa”».

C. «Guarda che la storia di zampogna testimonia dell’importanza dello strumento… Sin dall’antichità. Davvero. Era il simbolo dell’”armonia dei suoni”. La verità è che, nel “gioco dell’etimologia”, Mozart e Bach erano due zampognari».