quinta-feira, 1 de outubro de 2009

Le lingue parlate in Italia
Come hanno reagito i dialetti di fronte all'avanzata inarrestabile dell'italiano? Diciamo anzitutto che i dialetti hanno continuato a svolgere un ruolo storico di grande rilievo in questa fase decisiva del processo di unificazione linguistica: la lingua nazionale, che aveva ancora una base estremamente povera, dal fecondo contatto coi dialetti è uscita rinsanguata e rimpolpata, e finalmente in grado di assolvere la sua funzione di strumento di comunicazione nazionale. Certo, gli scambi sono stati reciproci, perché anche i dialetti hanno assimilato parole e modi di dire dell'italiano, adattandoli al proprio sistema fonologico e grammaticale e attestando così un buon grado di reattività linguistica.
Ma l'uso del dialetto fuori casa divenne sempre più marcato socialmente e soprattutto i giovani, ormai quasi tutti scolarizzati, optarono decisamente per l'italiano: nel ricambio generazionale a perdere progressivamente terreno è stato infatti il dialetto, come attestano i sondaggi più volte effettuati dalla Doxa negli ultimi trent'anni: l'uso del dialetto è in netto calo in tutte le regioni italiane, in corrispondenza del forte incremento dell'italofonia, dentro e fuori casa. D'altra parte, chi oggi continuasse a parlare esclusivamente il dialetto, si porrebbe proprio fuori dalla storia.
I dialetti in ogni caso oppongono ancora una buona resistenza, soprattutto nelle zone agricole, nei piccoli centri, nei paesini di montagna, nel Nord-Est, nel Sud e nelle isole. L' ultima indagine Istat rivela che il 55 per cento della popolazione nazionale alterna ancora l'italiano con il dialetto. Ovviamente i dialetti van perdendo ovunque le loro caratteristiche locali più marcate, espellono le voci più arcaiche, si arricchiscono di parole italiane e di tratti comuni: le varietà si avvicinano e diventano sempre più reciprocamente comprensibili. Potrebbe darsi perciò che essi siano destinati ad essere via via assorbiti dagli italiani regionali, già attualmente contraddistinti dalla presenza di evidenti tratti dialettali. Così pensa per esempio il sociolinguista Gaetano Berruto, ma in fatto di lingua è difficile fare delle previsioni, e i pareri degli stessi esperti sono discordi. C'è chi, come Giuseppe Francescato, individua nell'influenza dell'italiano sui dialetti la causa maggiore della loro progressiva degradazione e perdita di identità e li vede ormai avviati ad una rapida e definitiva estinzione.
C'è però anche chi ritiene ancora possibile una inversione di tendenza, e ne coglie qua e là i segni premonitori, perchè i dialetti sono una realtà sommersa, ma viva e sostanzialmente in buona salute. In effetti, ora che l'italiano, bene o male, lo parlano tutti ed è diventato lingua materna per la maggioranza della popolazione, ora che la contrazione d'uso del dialetto pare un fatto incontrovertibile, si assiste ad un risveglio di attenzione, ad un movimento di ripresa del dialetto, soprattutto nell'alta e media borghesia, presso la quale l'uso del dialetto non solo tiene, ma è addirittura in aumento. Si formano associazioni per la sua difesa, si istituiscono cattedre universitarie per il suo studio scientifico, si pubblicano riviste specializzate di dialettologia. E, fatto culturale di grande rilievo, si registra una grande fioritura di poesia dialettale, dove l'uso del dialetto non ha nulla a che fare con quel mascheramento di strapaese denunciato a suo tempo da Pavese, ma è piuttosto il ricorso ad uno strumento espressivo che sembra ancora rendere possibile quella assoluta aderenza al linguaggio interiore dell'anima, che è l'essenza della poesia lirica. Si pensi, oltre a Pier Paolo Pasolini, ad Andrea Zanzotto, a Franco Loi, a Delio Tessa.Da:http://www.unb.br/il/let/abpi2000/antoniani.htm

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